Può capitare, nei paesi e nelle città d’Italia, che spunti, quasi dal nulla un angolo di magia, dal fascino unico: è il Circo che posa il suo tendoni e i suoi carrozzoni, ovunque trovi un campo, un prato, un parcheggio, uno spiazzo qualsiasi che sia in grado di ospitarlo. Lo si vede da lontano, inconfondibile con le sue antenne, le luci colorate, le bandiere multicolori, i cartelloni, i manifesti.
Come ci si fa vicini siamo avvolti da una atmosfera unica fatta di teloni, colori, musica, profumi e odori, ma anche di persone con i volti dal trucco esagerato che vanno avanti e indietro affaratissimi o rilassati su di una sedia tra l’ingresso ed il tendone.
Guardando in faccia quelle persone ci accorgiamo che il circo raccoglie artisti e operai delle più svariate nazionalità e continenti, etnie, religioni, tenuti insieme, sembra, da una comune filosofia: la libertà di vita.
All’apparenza si vive alla giornata, senza un luogo determinato, senza radici e legami, senza timori e ansie per il futuro, capaci di risvegliare sentimenti di allegria, con un tocco di melanconica nostalgia, un po’ patetica, per un qualcosa che si trova descritto tra le pagine dei libri o nei film dal sapore Felliniano. È una filosofia che sembra di altri tempi, lontana dai giorni nostri, che però non fa giustizia della vita del circo viaggiante che è dura e faticosa, i soldi sempre pochi e le difficoltà innumerevoli.
Guardando lo spettacolo, non si può evitare di provare un briciolo di invidia per questa gente che ha fatto della propria passione un lavoro, e che riesce così bene a comunicare allo spettatore la gioia di vivere come per gioco: acrobati, saltimbanchi, trapezisti e clowns si alternano sotto i riflettori facendo divertire i bimbi e, forse anche di più, gli adulti in una atmosfera di piena libertà dove gli spazi, le persone, gli animali diventano “altri” rispetto alla normalità del quotidiano.
Il mondo del circo è molto attento alla propria tradizione, ai propri riti, al proprio stile di vita, ai propri valori, è geloso di se stesso e nello stesso tempo ha sempre accolto la diversità con una sorta di normalità: i nani e gli omosessuali, per esempio, hanno trovato casa in una società che è allo stesso tempo chiusa ed aperta, un po’ schizofrenica. Sarà perché la gente del circo si sente un po’ diversa che la diversità degli altri non gli fa paura; sarà perché la gente del circo sperimenta quotidianamente la marginalità che non permette a chi è diverso di essere marginale.
Questa apertura, forse anche per opportunità e senso dell'esotismo, c'è sempre stata: basti pensare che in tempi non sospetti, il circo è stato fra i primi ad impiegare lavoratori ed artisti extracomunitari … e quando non lo erano li si facevano diventare. Artisti di italianissime famiglie diventavano, nell’ottica dello spettacolo, sudamericani e poco dopo di qualche paese del misterioso oriente, cambiando abito e bandiera.
L'abilità del circo nel costruire, mitizzare, drammatizzare il reale riesce ad ingannare e incantare, a coinvolgere e affascinare anche pubblici più smaliziati.
Ma è anche vera che questa realtà “irreale”, il mito che si è costruito, diventa un messaggio che, forse in modo subliminale, comunica alle genti che incontra: i popoli si possono incontrare, non è detto perché uno è musulmano o sick o ebreo o cristiano, o perché europeo o asiatico o africano o sudamericano non possa convivere ed avere uno scopo comune con l’altro; una fraternità è possibile, la collaborazione tra persone diversissime tra di loro può produrre qualcosa di positivo, di bello, di apprezzabile come lo spettacolo di un circo.
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